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INTERVISTA ALL’AVVOCATO BENEDETTA SIRIGNANO
INTERVISTA ALL’AVVOCATO BENEDETTA SIRIGNANO
Incidenti subacquei e incertezza normativa alla luce degli ultimi avvenimenti: i casi in Italia
Comunicato Stampa
10 novembre 2016 15:50
Eye
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Soltanto in Campania, nelle grotte di Palinuro – meta ambita a livello internazionale per le immersioni in cavità – negli ultimi quattro anni sono morti sei subacquei : nell’estate del 2012, quattro nella “Grotta degli Occhi”, e nel 2016, due nella “Grotta della Scaletta”.
Nel 1984 perirono due friulani nella “Cala Fetente”, l’11 settembre del 1996, tre polacchi a “Punta Lacco”, nel 1998 ancora due milanesi nella “Grotta Azzurra”.
Questi incidenti hanno un massimo comune denominatore : l’entrare in cunicoli privi di ordinanze interdittive al loro accesso e di apposita segnaletica, spesso con una preparazione ed una attrezzatura non adeguate.
Fatalità, o errore umano? Aumentano gli interrogativi sulle “morti della subacquea”, una pratica sportiva che, negli ultimi decenni, ha implementato un sempre più numero crescente di appassionati.
Avvocato Sirignano, lei è il difensore per la parte civile di una delle vittime dell’incidente subacqueo più grave, avvenuto in Italia, nella Grotta degli Occhi di Palinuro nell’estate del 2012, per il quale è in corso un processo; esiste in Italia una legge sulla attività subacquea?
Nelle varie legislature, sono stati numerosi i progetti di legge esaminati dal Parlamento, tuttavia nessuno è stato mai approvato e pertanto sono stati tutti “cestinati”.
Ad oggi, purtroppo, l’Italia è manchevole di una legge nazionale sull’attività subacquea che ne disciplini i relativi aspetti della responsabilità penale. Ne deriva, una assenza di regolamentazione ed una incertezza normativa. Altresì, non esiste nessuna legge specifica che disciplini il profilo formativo e professionale di istruttori e guide.
Risultano privi di normative i diving center che promuovono le immersioni e le scuole che rilasciano i brevetti. I siti di immersione non sono sufficientemente attenzionati rispetto alle loro insidie. I soccorsi non sono specificamente preparati nè attrezzati rispetto ad un incidente subacqueo.
In questo vulnus legislativo, si sono fatte strada numerose Ordinanze di Capitanerie di Porto e Leggi Regionali che dettano regole diverse, a volte in antinomia, tra Regione e Regione.
Quando poi, il “caos” da vuoto normativo concerne una pratica sportiva come quella della subacquea, si aggiunga che la valutazione del rischio diventa un concetto soggetto a personale interpretazione.
Essendo l’attività subacquea priva di una regolamentazione, ne deriva che l’esercizio della stessa non comporti alcuna responsabilità sotto il profilo giuridico per chi la eserciti? Ossia, per i subaquei, le scuole sub e i diving di immersione?
No, poichè nel contesto del vuoto normativo in cui opera la subacquea, valgono, in ogni caso, i principi generali dettati dal Codice Penale vigente. Ossia, può configurarsi un reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.) o di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) in caso di incidente subacqueo, qualora ne ricorrano gli estremi. Ovviamente, in assenza di una normativa ad hoc, sarà più arduo per l’operatore del diritto, delineare se, nel caso di specie, ricorrano o meno profili di responsabilità, ad esempio per il diving o per l’istruttore che ha condotto l’immersione. Ciò accade, poichè il rispetto delle norme, non tipizzate, della diligenza, prudenza e perizia, pur penalmente rilevanti, offrono contorni di incertezza.
Cosa è auspicabile secondo lei?
La sicurezza di chi pratica l’attività subacquea – soprattutto con riferimento alle immersioni in cavità che, a differenza di quelle in acque libere, richiedono una maggiore cautela e preparazione – prima ancora che del subacqueo, è un diritto del cittadino e come tale va severamente garantito con leggi specifiche ed adeguate.
Non è più procrastinabile una legge sulla subacquea. È inopportuno, lasciare la sicurezza delle immersioni e la incolumità di chi la pratica, al buon senso degli istruttori o alla mera diligenza ed alla scrupolosità dei diving center che si attengono, per forza di cose, a norme consuetudinarie, non certe, non scritte e quindi non tipizzate.
Può accadere che, un subacqueo neofita, il quale si avvicini alla mondo delle immersioni in cavità sommersa, si affidi ad un diving negligente che ha sottovalutato o sopravvalutato la sua esperienza o che non adotti una attrezzatura idonea.
L’esperienza e l’addestramento specifico per le penetrazioni in grotta rappresenta molto più che una precauzione, costuituisce la condicio sine qua non per la sicurezza di chi la intraprende. Occorre didattica e certificazione ad hoc per l’immersione in cavità, più che per quella in acque libere.
Tuttavia, non essendovi, in astratto, dei parametri normativi, in concreto, diventerà complesso valutare se e di quanto sia stata superata la soglia della negligenza, imprudenza ed imperizia, ossia configuare una responsabilità giuridica a titolo di colpa.
Preme dunque, sensibilizzare il problema a livello nazionale, poichè una, cento, mille sentenze di condanna del caso singolo, purtroppo, se da un lato determineranno giurisprudenza, dall’altro, non colmeranno i vuoti legislativi ed avremo altre potenziali tragedie in mare.
Che rapporto vi è tra l’interesse economico del diving center e la sicurezza del cliente che vuol effettuare una immersione?
La sicurezza del cliente/subacqueo non deve essere sacrificata rispetto all’interesse lucrativo del diving center ad effettuare l’immersione.
Il diving deve astenersi dal far effettuare al consumatore una immersione per la quale non è sufficientemente preparato.
Ma vi è di più. Non è obbligatorio, far conseguire il brevetto di subacqueo se l’allievo all’esito del corso non abbia i raggiunto i requisiti a ciò propedeutici, anche se questi ha corrisposto del denaro e nutra una aspettativa in tal senso. In tal senso, è auspicabile una normativa anche su quali siano gli standard minimi di preparazione del subacqueo.



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