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Automotive, De Rosa (Smet): "L’Italia resta in fabbrica se l’Europa la smette di punire"
Redazione
31 ottobre 2025 08:20
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SALERNO. L'amministratore delegato del Gruppo Stellantis, Antonio Filosa, ospite di Bruno Vespa nel programma '5 minuti' su RaiUno. Cruciali i temi sul futuro dell'automotive in Europa affrontati dall'ad. Al riguardo, abbiamo chiesto l'opinione del noto imprenditore salernitano cav. Domenico De Rosa, CEO del Gruppo Smet, leader in Europa nel settore Logistica e Trasporti.

Cavaliere De Rosa, Filosa nel programma '5 minuti' con Bruno Vespa ha dichiarato che per Stellantis non è previsto un ridimensionamento in Italia e che ogni stabilimento avrà una missione produttiva chiara. Lei che da tempo segnala il rischio di una progressiva desertificazione industriale, come interpreta queste parole? "Sono parole importanti, soprattutto perché sono state dette in televisione davanti a tutti. È un impegno pubblico. Però bisogna essere realisti. Un’azienda può avere tutta la volontà di restare in Italia, ma se l’Europa continua a produrre norme rigide, a imporre una sola tecnologia, a fissare scadenze che non tengono conto del mercato e del reddito delle famiglie, allora anche il miglior amministratore delegato farà fatica a mantenere tutti gli impianti. Per questo dico bene Filosa, ma il problema vero oggi è a Bruxelles".

Filosa ha anche detto che il problema non è la Cina ma l’eccesso di regole europee su clima e automotive. È d’accordo? "Sì. Ed è molto positivo che lo abbia detto così chiaramente. Per anni è stato comodo dire che l’industria europea non reggeva la concorrenza cinese. In realtà la nostra industria è stata spinta a produrre veicoli che il mercato non riusciva ad assorbire perché troppo cari rispetto ai salari europei. Se io impongo solo un certo tipo di auto e le persone non la comprano, creo un vuoto di domanda. Quel vuoto lo riempiono i produttori extraeuropei, che hanno costi più bassi e spesso anche aiuti pubblici. Filosa ha tolto un alibi alla politica europea. Da oggi non si può più dire che la colpa è solo dei costruttori".

Il nuovo vertice ha indicato quattro priorità. Neutralità tecnologica. Rinnovo del parco circolante. Difesa delle vetture piccole. Ruolo dell’Italia. È abbastanza per riaprire la partita? "È una buona base, perché rimette al centro la scelta e non l’obbligo. Se chiedi neutralità tecnologica stai dicendo che in Europa devono poter convivere motore tradizionale, ibrido, elettrico e anche carburanti alternativi. Se parli di rinnovo del parco stai dicendo che il vero inquinamento viene dalle auto vecchie che restano in strada perché le famiglie non hanno liquidità per sostituirle. Se difendi le vetture piccole stai proteggendo una specializzazione italiana che il quadro normativo stava cancellando. Ma tutto questo, senza una politica industriale europea con risorse e non solo con obblighi, rischia di restare teorico. Gli Stati Uniti hanno messo incentivi. La Cina ha messo piani pluriennali. L’Europa ha messo regole. Non è la stessa cosa".

Perché, secondo Lei, Filosa ha scelto una trasmissione popolare come quella di Bruno Vespa invece di una sede riservata? "Perché doveva parlare al Paese, non solo agli addetti ai lavori. In questo momento c’è sfiducia verso i grandi gruppi e c’è anche un racconto un po’ punitivo verso l’auto. Andare in una trasmissione molto seguita significa dire agli italiani che l’azienda c’è, che non scappa e che vuole continuare a produrre qui. È anche un messaggio alle parti sociali e alla logistica. Come a dire la volontà industriale c’è, ora servono condizioni politiche e regolatorie per farla funzionare".

Lei, però, ha ripetuto più volte che, senza una correzione del Green Deal e senza una linea meno ideologica della Commissione europea, l’automotive continuerà a perdere. Le parole di Filosa bastano? "Sono un passo avanti, ma non bastano. Immaginiamo una nave. Se il comandante dice che lo scafo è solido è una buona notizia. Ma se la rotta entra in un mare contrario la solidità da sola non basta. Oggi la rotta europea è troppo ideologica. Si fissano obiettivi che non tengono conto del reddito medio, del costo dell’energia, della capacità d’investimento delle imprese, delle differenze tra i Paesi. Se non si corregge questa rotta anche i gruppi più forti saranno costretti a spostare produzioni o a ridurle. Filosa ha aperto lo spazio politico. Adesso devono entrarci i governi".

La frase "l’Italia resta centrale" può avere effetti anche su logistica, porti e intermodale? "Sì. E sono effetti immediati. Ogni volta che un grande gruppo conferma una missione produttiva in Italia tutta la catena dei trasporti può programmare. La logistica vive di programmazione, non di improvvisazione. Non si acquistano nuovi mezzi se c’è il dubbio che la produzione vada via. Non si potenziano terminal ferroviari o marittimi se non c’è la certezza di flussi continui. Sentire dire in tv che gli stabilimenti italiani hanno una funzione precisa è un segnale di fiducia per tutta la filiera".

Cosa chiede, oggi, il Cavaliere De Rosa alla politica italiana dopo le parole di Filosa? "Chiedo di non sprecare questo assist. Se l’amministratore delegato di un gruppo globale dice pubblicamente che il problema è europeo significa che c’è margine per una trattativa vera. L’Italia insieme a Francia e Spagna deve andare a Bruxelles e dire che vuole una transizione che salvi il lavoro e la filiera. Che vuole obiettivi ambientali legati alle tecnologie reali e non a quelle immaginate. Che vuole che l’auto piccola prodotta in Europa abbia futuro e non venga uccisa dai costi di conformità. Se la politica lo farà le parole di Filosa diventeranno politica industriale. Se la politica non lo farà resteranno solo una bella intervista".

Questa impostazione più pragmatica potrà migliorare i rapporti tra Stellantis e i territori produttivi italiani? "Sì, ma a tre condizioni. Prima. Chiarezza definitiva sulla missione di ogni stabilimento italiano. Seconda. Tempi realistici per la transizione e per la riconversione delle linee. Terza. Ascolto continuo delle imprese di filiera, che sono quelle che restano sui territori anche quando i cicli cambiano. Se queste tre condizioni saranno rispettate le parole ascoltate in televisione non resteranno annuncio, ma diventeranno l’inizio di una fase nuova in cui l’Italia resta in fabbrica perché l’Europa finalmente smette di punirla".



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