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LA SENTENZA
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Capaccio, botte alla moglie davanti al figlioletto: condannato anche in Appello
Alfonso Stile
10 dicembre 2022 10:14
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CAPACCIO PAESTUM. Botte alla moglie davanti al figlioletto. Dopo la condanna in primo grado a 3 anni di reclusione subita a fine maggio scorso, il 58enne marito violento di Capaccio Paestum è stato condannato anche dalla Corte d’Appello di Salerno, che ha dunque confermato la responsabilità dell’uomo in ordine ai reati di maltrattamenti in famiglia aggravati dalla presenza del compianto minore, purtroppo scomparso. Attualmente, a seguito dell'aggravamento della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, il 58enne è ristretto agli arresti domiciliari.

Nello specifico i giudici, nel riqualificare la contestata aggravante, hanno rideterminato la pena a 2 anni e 8 mesi, confermando quanto statuito dalla sentenza emessa dal gip del Tribunale di Salerno, Gerardina Romaniello, ovvero la condanna dell’uomo al risarcimento del danno in favore dell'ex consorte e parte civile, da liquidarsi in separata sede, e al pagamento delle spese processuali sostenute dalla 52enne, difesa nel procedimento dall’avv. Ciro Vicidomini, il quale al riguardo dichiara: “La sentenza d’Appello, nel confermare la penale responsabilità dell’imputato, cristallizza la condotta aggressiva e violenta di cui è stata vittima la mia assistita, unitamente al figlio minore; d’altronde, la riqualificazione della circostanza aggravante nella cosiddetta ‘violenza assistita’ ha consentito d’individuare l’arco temporale nel quale si è contestualizzata la condotta vessatoria dell’uomo, nello specifico consistita in quotidiane ingiurie, minacce, molestie e percosse ai danni della moglie, sia nel corso della convivenza coniugale, anche alla presenza del figlioletto che, in determinate occasioni, assisteva agli episodi di ingiurie, minacce e percosse subite dalla madre, anche dopo la separazione di fatto e l’interruzione del rapporto di convivenza avvenuta nel settembre. Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’imputato, è stata dimostrata la piena correlazione tra la verità storica e la verità processuale, consentendo alla vittima di ottenere giustizia sia nel proprio interesse nonché a tutela della memoria dell'amato figlio”. 



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