Giudiziaria
IL RUOLO DI CAGNAZZO
IL RUOLO DI CAGNAZZO
Omicidio Vassallo, oltre 400 pagine per svelare il giallo che scosse il Cilento
Alfonso Stile
08 novembre 2024 11:54
Eye
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POLLICA. Oltre 400 pagine di ordinanza per far luce sul più cupo mistero del Cilento, 14 anni dopo l’omicidio di Angelo Vassallo, ucciso per difendere la sua terra, il Cilento, dalla droga e dalla camorra. Il sindaco di Pollica aveva scoperto un ingente traffico di stupefacenti che faceva del porto di Acciaroli il proprio crocevia, ed era pronto a fare raccontare tutto ai carabinieri della Compagnia di Agropoli, indirizzato dal pm Alfredo Greco della Procura di Vallo della Lucania, perché dei militari della compagnia vallese “non si fidava troppo”.

Ma la sera prima dell’incontro, venne crivellato di colpi nella sua Audi mentre tornava a casa, in un punto dove non vi sono telecamere né case. Secondo la Procura di Salerno, infatti, gli assassini avevano pianificato tutto per giorni, anche con sopralluoghi, per togliere di mezzo Vassallo e depistare le indagini con la regia del colonnello Fabio Cagnazzo e del suo attendente Lazzaro Cioffi, in quei giorni in vacanza ad Acciaroli, coinvolti nel business della droga. Cagnazzo, in particolare, figlio d’arte il cui padre è tra i fondatori del ROS dei carabinieri, teme che le denunce di Vassallo macchino il suo onore. 

E fui tra i primi a giungere sul luogo del delitto: su un mozzicone di sigaretta, raccolto dagli inquirenti, c’è il dna dell’ufficiale dell’Arma, che diventa amico della famiglia della vittima e indirizza i riflettori su uno spacciatore della zona, il brasiliano Damiani, che in realtà non c’entra nulla. 

Cagnazzo, senza alcuna delega dell’autorità giudiziaria, preleva anche le immagini di videosorveglianza di un negozi che affaccia sul porto, per metterle al sicuro ed incastrare Damiani, dirà poi: ma in realtà consegna solo una parte dei video, non quelle che scagionano il pusher. Ad ordire il piano omicida anche l’imprenditore Giuseppe Cipriano, gestore di cinema nella zona, e Romolo Ridosso, esponente del clan scafatese dei Loreto-Ridosso, finiti in carcere, ieri, con Cagnazzo e Cioffi.

Ma cosa ha determinato la svolta dopo tanti anni? In mano agli inquirenti poche intercettazioni e tante dichiarazioni di testimoni e pentiti: in sintesi, tutto si complica quando Cioffi finisce in cella per le accuse di droga con i pusher del Parco Verde di Caivano. Il boss Ridosso pensa che le sue coperture scricchiolano, si sente in trappola ed inizia a collaborare con i pm. La sua compagna, Antonella Mosca, svela che, pochi giorni dopo il delitto, Cioffi e Cipriani raggiunsero la coppia a Lettere, sentendo il proprio compagno affermare, testualmente: “Ci siamo fatti pure il pescatore”. 

CHI È FABIO CAGNAZZO - Per anni, Fabio Cagnazzo è stato un punto di riferimento dei reparti investigativi dei carabinieri. Figlio del pluridecorato generale dell’Arma Domenico Cagnazzo, tra i fondatori del ROS e vicecomandante in Sicilia quando fu arrestato Totò Riina, ha passato la vita ad onorare la divisa. 54 anni ed una carriera piena di successi sulle orme di famiglia ed elogi dai magistrati antimafia. Nel 2009, a capo della Compagnia di Castello di Cisterna, scova e arresta addirittura il superlatitante Pasquale Russo, boss di Nola ricercato dal 1995 insieme al fratello Salvatore, beccato il giorno prima dalla Squadra Mobile. Un doppio colpo per il quale carabinieri e poliziotti festeggiano, e poco dopo Cagnazzo smantella pure il clan Sarno di Ponticelli con centinaia di arresti, catturando anche affiliati e mandanti delle principali inchieste della DDA di Napoli sulla faida di Scampia. Di lui si fidano tutti, inquirenti e collaboratori di giustizia. Si narra che quando arrestò il boss Abbinante, prima di mettergli le manette mangiò un boccone con lui, nel suo nascondiglio.

Ma nel 2010 viene travolto dai veleni post faida di Scampia e dalle ombre sull’omicidio Vassallo: il boss degli Scissionisti Bagio Esposito lo accusa di presunti favori ai Di Lauro, mai dimostrati: Cagnazzo finisce sotto inchiesta, che viene archiviata rendendo però necessario il suo trasferimento a Foggia, poi in Kosovo e infine a Frosinone. Poche settimane dopo, Vassallo viene ucciso, e lui si trova proprio a Pollica, in vacanza, agendo senza alcuna delega sul luogo del delitto. Ieri, proprio i carabinieri del ROS fondato dal papà, lo hanno prelevato a casa sua, dove si trovava per motivi di salute, e rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Dovrà difendersi dall’infamante accusa di aver ordito la morte del sindaco pescatore per poi depistare le indagini, per paura che Vassallo svelasse il suo nome macchiandone l’onore.



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